Secondo la tradizione ebraica, fino al momento della nostra nascita conosciamo interamente la Torà, ma poi, mentre usciamo dal grembo materno, un angelo ci colpisce sulla bocca e ci fa dimenticare tutto. Questo ci dice che se in parte la Torà è per noi qualcosa di innato, è pur vero che ogni giorno dobbiamo fare lo sforzo di riacquisire tale patrimonio e la nostra vita sarà all’insegna della ricerca di questa memoria.

Seppure è il padre che ha il dovere di insegnare la Torà ai figli (Talmud Babilonese, Qiddushìn 29b) perché è scritto “… e le insegnerai (le parole della Torà) ai tuoi figli” (Deuteronomio 11, 19), se il padre non ha insegnato Torà ai propri figli, essi hanno il dovere di studiarla o di cercare qualcuno che gliela insegni, perchè lo studio della Torà vale come tutti i precetti (le mitzwòt) messi insieme.

Lo studio tuttavia non è qualcosa di puramente intellettuale che si esaurisce nella lettura di un libro o in un ciclo di lezioni dietro a un banco di scuola, ma è pregno di vita concreta. Il sistema educativo ebraico infatti non è legato a un sistema che va dalla teoria alla pratica, ma piuttosto, dalla pratica alla teoria: la trasmissione culturale, nell’ebraismo, la conoscenza e l’identità si costruiscono attraverso la propria esperienza concreta, la comprensione, l’interpretazione e l’analisi personale. Lo studio è parte di questa grande esperienza.

rav Roberto Della Rocca