“La bontà” – Il sentiero dei Giusti di Ramchàl
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La bontà
“La purezza dell’intenzione conduce alla bontà”.
Si domanda il grande maestro italiano: chi è il chassìd, la persona buona? È colui che va oltre la regola stretta, che vuole fare di più per il Santo, che Lo ama di un amore vero. “Come un figlio che ama suo padre, anche se questi manifestasse con un segno qualsiasi un qualche desiderio, suo figlio correrebbe subito a fare tutto il possibile per soddisfarlo”.
Dunque il chassìd non tralascerà neppure i minimi dettagli dei comandamenti, cercherà di compierli con gli strumenti migliori e li metterà in pratica con timore e amore.
Timore e amore. Cosa sono questi due concetti fondamentali che troviamo spesso riguardo al servizio divino?
Avere timore di Dio significa aver sempre chiaro che Hashèm è davanti a noi e che dunque il nostro comportamento deve essere adeguato; che la Sua superiorità rispetto agli uomini non ha limiti e che la nostra pochezza invece ci distingue totalmente da Lui.
Un altro aspetto del timore di Dio consiste nel dare onore alla Torà, agli studiosi, agli anziani e ai luoghi sacri quali la Casa di Studio e la Sinagoga.
L’amore, invece, è la capacità di provare passione ed entusiasmo per il servizio divino come lo si prova, con le giuste distinzioni, per l’amore della nostra giovinezza o per il nostro figlio unico. È scritto infatti nello Shemà[1]: “E amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutte le tue forze”[2].
Chi prova davvero tale sentimento per Hashèm non avrà più interesse in tutto ciò che è altro da Lui, proverà una gioia completa per aver meritato di servirLo e detesterà coloro che Lo detestano sforzandosi di sottometterli, perché chi ama qualcuno non può sopportare di vederlo colpito o insultato.
Torniamo invece ora sul concetto di chassìd, di pio. A lui si addice orientare il proprio agire al bene di tutti offrendo meriti e protezione a tutta la sua generazione, si prodiga anche in azioni legate alla pietà e alla bontà.
Tali atti rientrano nelle mitzvòt di ghemilùt chasadìm[3] e tzedaqà[4]. Ciò vuol dire, per esempio, non recare alcun danno al nostro prossimo, aiutandolo a sollevarsi materialmente e psicologicamente se necessario; significa perseguire la pace e fare del bene con il nostro denaro o con il nostro tempo.
Dobbiamo stare però molto attenti perché non tutte le azioni che sembrano apparentemente buone lo sono veramente. Dunque anche in questo caso è bene ponderare le nostre intenzioni prima di agire. A volte mettere in pratica un precetto in modo molto rigoroso davanti a un pubblico non esperto dell’argomento, vorrebbe dire inconsapevolmente svergognare la Torà. Oggi infatti il più delle volte seguiamo la scuola di Hillèl e non quella di Shammày[5] proprio perché siamo a un livello più basso e non è per tutti l’essere chassìd.
Per acquisire la virtù della pietà è necessario riflettere sulla grandezza di Hashèm, aiutarsi con lo studio dei Salmi e con la lettura della vita e delle opere dei Saggi, rafforzare la riflessione e la fiducia nel Signore.
[1] Un brano della preghiera che si recita nella tefillà della mattina e della sera.
[2] Devarìm 32.6.
[3] Letteralmente: atti di bontà.
[4] La beneficienza.
[5] Due maestri vissuti nel I sec. a.e.v. che diedero origine a due scuole talmudiche quasi sempre in disaccordo sull’applicazione pratica della regola.
Di Micol Nahon Moscati