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Insegnare ai figli
“VeShinnantam leVanekha VeDibarta bam”: “e le ripeterai ai tuoi figli e ne parlerai con loro ” (Deuteronomio 6, 7);
“veLimadtem otam ‘et benekhem leDaber bam”: “le insegnerete ai vostri figli parlandone stando in casa e andando per strada, quando sarai coricato e quando sarai alzato (Deuteronomio 11, 19)”.
Nei due brani su indicati dello Shemà, il cui testo è parte integrale della Torà, ricorre l’imperativo di “insegnare”. In questa direttiva è racchiuso uno dei temi principali dell’ebraismo, l’educazione, ed in essa ravvisiamo uno dei cardini della “tradizione”. La tradizione, infatti, è necessariamente basata sull’insegnamento, ovvero la ripetizione di concetti, regole di comportamento e usi, finalizzata alla formazione di un’identità ebraica consapevole. La radice verbale di “shinnantam” è “shanà”, vale a dire ripetere per ricordare; la radice di “limadtem” è invece “lama” che nella forma intensiva ha proprio il significato di insegnare. Ciò che va assolutamente sottolineato è come questa disposizione dello Shemà sia rivolta ai genitori, elemento base della società e primo anello della catena della tradizione.
L’educazione ebraica passa dunque per lo studio che ha il duplice fine di conoscere la Torà e i suoi dettami, e nel contempo di insegnare ciò che si impara, perché la conoscenza non sia un privilegio di pochi, e perché nell’istruzione generale si cresca nel rispetto sociale e umano. È peraltro importante comprendere come l’obbligo dello studio sia legato alla natura complessa e particolare della struttura religiosa, la quale conduce a una sorta di intellettualismo etico per cui “l’ignorante non può essere pio”. Non bastano il sentimento, la fede e la pratica, ma è indispensabile la continua verifica intellettuale. Ed è in questa linea che la tradizione ebraica, pone lo studio a norma fondante e conclude con il principio che, in rapporto ai precetti, “lo studio della Torà vale come tutti gli altri messi insieme”.
Tornando ai versi dello Shema’ sopra indicati, possiamo notare che l’imperativo di ripetere – insegnare (Deuteronomio 6, 7 e Deuteronomio 11, 19) è seguito in ambedue i passaggi dall’espressione “vedibartà bam” (“e ne parlerai con loro”), che pone l’accento su un insegnamento mnemonico (ripetere per ricordare) caratterizzato dal dialogo, e sull’invito a fornire un’istruzione aperta all’interrogativo da parte dei figli.
In questo modo si rende chiara la differenza fra istruzione e insegnamento: non si trasmettono ai figli solo una serie di informazioni e di nozioni, ma si parla con loro dell’essere ebreo, fornendo gli strumenti perché comprendano, attraverso il dialogo, stimolando l’elaborazione autonoma di ciò che viene raccontato, delineando quel passaggio importante e necessario dall’insegnamento alla cultura.
La cultura infatti non è qualcosa di fisso né si identifica in una serie di dogmi, ma è il frutto di convivenza e di confronto fra possibili contraddizioni, stimolo per la ricerca di nuovi significati e invito a proseguire.
Questa prosecuzione, questo anello fondamentale della catena della tradizione si appoggia in modo importante sul passaggio genitori–figli, scegliendo come argomento preferito di dibattito le parole della Torà. Uno studio dinamico che si svolge “…Stando in casa e andando per strada…” (Deuteronomio 6, 7) ovvero partendo da una dimensione statica, che fornisce punti fissi, i quali – attraverso un processo evolutivo – trovano la propria validità nel dinamismo, che si esprime nel confronto con la strada, nell’incontro con la società circostante. E ancora: “…quando sarai coricato e quando sarai alzato… (Deuteronomio 11, 19), cioè sia nei momenti di crisi che in quelli di benessere.
rav Roberto Della Rocca
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